di Santa Madre Rabbia
Diretto da Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor, No Other Land, che potremmo tradurre come o svantaggio di non avere altra scelta, è stato presentato in anteprima il 17 febbraio 2024 al 74° Festival Internazionale del Cinema di Berlino (Berlinale).
Quest’anno, nell’arco di venti giorni, il film è passato dal vincere l’Oscar come migliore documentario al vedere uno dei registi, Hamdan Ballal, aggredito e ferito da un gruppo di coloni in Cisgiordania, arrestato da alcuni soldati e rilasciato il giorno successivo. È quello che può succederti se vinci un Oscar documentando l’occupazione delle terre in cui sei nato e cresciuto, in cui vivi o resisti.
No Other Land racconta infatti la distruzione di Masafer Yatta, nella West Bank, in Cisgiordania, territorio che secondo la comunità internazionale appartiene allə palestinesi, ma che è sotto l’occupazione illegale di Israele, dove vive il regista e attivista Basel Adra. È il frutto di un lavoro a più mani e di riprese di diverso tipo, da quelle professionali, girate da Rachel Szor, a quelle amatoriali di Adra, che usa per lo più il telefono. Girato nell’arco di cinque anni, dal 2019 al 2023, il documentario include anche video filmati dalla famiglia e dai vicini di Adra negli ultimi vent’anni.
Il problema

Masafer Yatta è un villaggio palestinese sotto il continuo attacco del governo e dei coloni israeliani, dove gli espropri e le demolizioni sono all’ordine del giorno. Gli scontri quotidiani con l’IDF (Israel Defense Forces) si susseguono alla ricostruzione (di nascosto, per quanto possibile) degli edifici distrutti. Fino a quando la confisca di alcuni materiali edili usati per la ricostruzione di una casa, nel gennaio 2021, culmina con il ferimento, da parte di un soldato israeliano, del giovane Harun Abu Aram, rendendolo tetraplegico.
La madre di Harun si vede costretta ad accudire il proprio figlio, che morirà due anni più tardi per le ferite riportate, in una grotta, perché non può permettersi di spostarsi altrove né di ricostruire la propria casa. Ma attraverso le immagini del documentario ‘scopriamo’ che anche altre persone si ritrovano come unica scelta quella di vivere nelle grotte.
Non dovrebbe essere questa, in realtà, una scoperta così eclatante per noi, perché già Sarura di Nicola Zambelli ci aveva mostrato nel 2022 la vita dellə palestinesi nel villaggio di grotte di Sarura. Qui “Youth of Sumud”, i giovani della perseveranza, cercano di restituire alla propria gente le terre sottratte alle loro famiglie, difendendosi dai fucili con le proprie videocamere.
L’amicizia

A fare da sfondo all’occupazione e all’odio sionista è l’amicizia tra Basel Adra e Yuval Abraham, quest’ultimo giornalista israeliano. In un’intervista a Variety, Abraham ha raccontato come la svolta nella percezione di cosa stesse accadendo è arrivata per lui quando ha iniziato a studiare l’arabo.
«Mi sentivo come se fino ad allora avessi avuto un occhio chiuso che si è aperto solo quando ho imparato l’arabo. Ho cominciato a incontrare i palestinesi e a comprendere la realtà di chi vive sotto l’occupazione militare nella West Bank. […] le persone mi dicevano che i palestinesi costruivano illegalmente e che era per questo motivo che noi distruggevamo le loro case con i bulldozer. Ma quando ho cominciato a fare le mie ricerche, ho realizzato che in realtà c’è una legge che impedisce sistematicamente ai palestinesi di ottenere i permessi di costruzione, e che questa legge è un modo per appropriarsi della loro terra».
D’altro canto, Adra è diventato un attivista e ha cominciato a riprendere gli attacchi dei coloni e del governo perché non aveva altra scelta: «È molto importante per noi palestinesi […] raccontare a molte persone nel mondo occidentale cosa sta realmente accadendo sul campo. È molto importante dire al mondo che siamo le vittime di questa brutale occupazione e che dovrebbero fare tutto il possibile per sostenerci nel porvi fine».
I limiti dell’amicizia si rivelano però nei loro sogni: «Sei entusiasta – dice Basel a Yuval – vuoi porre fine all’assedio in dieci giorni». Un entusiasmo che le persone palestinesi non possono più permettersi da tempo, soprattutto dopo il 7 ottobre 2023. Alla speranza di Yuval fa da contraltare la stanchezza di Basel per i continui soprusi subiti, per le manifestazioni represse, che come le case finiscono per ripiegarsi su sé stesse. Al bianco del villaggio dei coloni, fatto di case tutte uguali e della stereotipizzazione tipica delle cose calate dall’alto, fa da contraltare l’ocra della terra, delle grotte, delle macerie e dei sassi tutti diversi di Masafer Yatta.
La comunità
Ciò che permette al popolo palestinese di tirare avanti, nonostante la stanchezza, è la sua comunità. La capacità di mutare il pericolo (danger) in rabbia (anger) da canalizzare nella protesta collettiva sembra essere il suggerimento di un cartello che appare nel girato per pochi secondi. Un solo frame che notiamo a malapena, e che pure contiene il senso di più di settant’anni di storia.

Avere una comunità su cui poter fare affidamento vuol dire avere la certezza che finché ci sarà anche una sola persona palestinese sotto assedio e sotto occupazione, tuttə lə palestinesi saranno sotto assedio e sotto occupazione. Una certezza che il mondo occidentale ha ormai dimenticato da tempo, perso nell’atomizzarsi delle relazioni, nell’individualismo più sfrenato.
L’invito di Basel Adra a guardare, a conoscere ciò che sta accadendo oggi in Palestina non può essere ignorato. E il minimo che ognunə di noi possa fare è continuare a parlarne, anche e soprattutto nelle piazze, pretendendo per il figlio di Basel una vita differente da quella vissuta da suo padre.
Se questo articolo ti è piaciuto, ti potrebbe interessare anche Di identità, gerarchie e assenze: Pasturismo!
Le immagini in questo articolo sono utilizzate esclusivamente a scopo informativo e non commerciale. I diritti sono riservati ai rispettivi proprietari. Le traduzioni dall’inglese sono di chi scrive.