Il complottista: una commedia senza maschere

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Il complottista rappresenta il film debutto sul grande schermo del giovanissimo Valerio Ferrara. Tratto dal corto Il barbiere complottista dello stesso Ferrara, racconta la storia di un normalissimo barbiere di periferia che crede di aver svelato un grande complotto tramite i lampioni della città. Un film che sembra promettere l’assurdo e il grottesco ma che in realtà riesce a tovare l’umanità in un tema che racconta tanto del mondo in cui viviamo oggi.

Il complottista: un esordio giovanile

Antonio Calabrò (Fabrizio Rongione) è un uomo come tutti gli altri. Lavora come barbiere nel suo quartiere Tuscolano con la moglie Susanna (Antonella Attili) e il figlio. A scuotere la sua routine e a renderlo un po’ lo zimbello della sua cerchia di amici, è la sua passione per i complotti. Antonio infatti crede alle teorie più stravaganti e passa le sue giornate a commentare su un blog online le ultime notizie. Un giorno però il lampione davanti al suo negozio lampeggia in modo strano e Antonio si convince che qualcosa si nasconde dietro quella luce lampeggiante. Insieme ad una banda di altri complottisti tenta di denunciare l’accaduto andando contro tutto e tutti, famiglia compresa.

Il complottista è un esordio ben costruito che lancia nel panorama italiano un regista giovane e capace e, insieme a lui, anche giovani autori e maestranze. La maggior parte della troupe infatti è composta da giovanissimi under 30. La storia ha pregi e difetti. La regia di Valerio Ferrara non si lascia andare a virtuosismi inutili ma si adegua con la sua linearità ad una narrazione classica ma non per questo inefficace. Il genere stesso della commedia non la richiede.  Tutto il cast è all’altezza e ogni interprete riesce a dare credibilità e freschezza al proprio personaggio.

La sceneggiatura a volte non riesce a soddisfare a pieno lo spettatore che vorrebbe sapere di più, ridere di più e avere un po’ più di azione. Inoltre il grande numero di personaggi per un film di 85 minuti può essere un’arma a doppio taglio, poichè di molti non ne vediamo una vera e propria  chiusura della narrazione.

Il mondo dietro la commedia

Il grande merito de Il complottista sta nel trattare un tema, il complottismo, che a sua volta intercetta tanti aspetti della contemporaneità. Il motivo per cui Antonio si avvicina alle teorie complottiste, tanto da inventarne una tutta sua, può nascondersi dietro verie ragioni. È una persona intrappolata in una vita priva di nuovi ed eccitanti stimoli, si sente solo e senza nessun talento in particolare. Quando incontra persone disposte a credere in lui, nel suo genio e nella sua lungimiranza, si sente finalmente importante e si nutre anche di piccole bugie, nonostante le riconosca come tali.

Il complottista quindi ci racconta l’assurdità delle teorie per mostrare una società che, immersa nella più totale “libera” e caotica informazione dei social, vuole riscoprire la verità per sentirsi al sicuro. Una società che si sente tradita e che vuole ossessivamente soddisfare l’innato bisogno di avere uno scopo. 

In questa prospettiva il complottista non è più solo un pazzo o un “credulone”, ma diventa una persona esattamente come tutte le altre. Il genere della commedia è stato un altro grande colpo di genio per raccontare questa storia. Seppur a volte si perde all’interno della narrazione, la commedia permette al film di decostruire paradossalmente gli stereotipi e le maschere che spesso si fanno indossare a caratteri così facilmente “memabili”.

Fare un film “comico” sui complottisti rendendoli stravaganti e stupidi era forse la cosa più semplice e sbagliata da fare. Lo sguardo di Valerio è uno sguardo che scruta ma non giudica, che ha solo il desiderio di vedere oltre e analizzare davvero il fenomeno e chi ne fa parte, come solo la commedia all’ italiana ha dimostrato di sapere fare.

di Matteo Cantarella

Tags: Il complottista, recensione, Valrio Ferrara

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